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A una settimana dal 27 Gennaio, Giornata internazionale della commemorazione delle vittime della Shoah, la memoria non si ferma. È entrata nelle classi terze del plesso di Boara P. e Vescovana della nostra scuola grazie alla testimonianza della signora Rachele Cicogna.
La signora è stata accolta dalla nostra Dirigente che ha sottolineato l’importanza di ricordare anche oltre le ricorrenze e far tesoro di ciò che è stato per migliorare il futuro.
Rachele Cicogna è la nipote di Lala Lubelska e Giancarlo Cicogna. Attraverso questo incontro ci ha raccontato la storia di sua nonna. Lala proveniva da una famiglia polacca ebrea. Era una famiglia benestante. I genitori, Leone e Rachele, come occupazione trattavano le pelli. Lala era la figlia più piccola, prima di lei erano nate due gemelle e un’altra ragazza che aveva anche una figlia.
Il 1° settembre 1939 l’esercito nazista invase la Polonia e cominciò la persecuzione verso gli Ebrei:
vennero imposti divieti nella loro vita quotidiana, ad esempio non potevano più usufruire dei mezzi di trasporto pubblici, non potevano girare per le strade affollate e nelle piazze, e venivano portati via dalle loro case. Rachele dovette stare in un appartamento di due camere con 10 persone. Le limitazioni continuarono e l’8 settembre vennero chiusi i cinema, le scuole e, le sinagoghe, bombardate. Questo portò alla preghiera abusiva e l’acquisto di libri dal mercato nero, e i figli furono istruiti da professori che lavoravano illegalmente, perché la cultura è la cosa più importante che un uomo può possedere.
Lala, a 14 anni fu “costretta a trovarsi un lavoro”. Trovò un posto come sellaia (il lavoro più duro mai svolto nel corso della sua vita) ma il posto di lavoro era lontano 10 Km da casa. Per questo ogni giorno Lala doveva camminare per 20 Km in tutto. Dopo poco tempo le scarpe si consumarono e Lala prese un paio di stivaletti da un cadavere trovato per strada (in quel periodo era frequente trovare cadaveri per le strade). Era felice per i suoi “nuovi” stivaletti ma se ne vergognava perché li aveva rubati. A 14 anni, però, è normale essere contenti. Gli anni dell’adolescenza sono anche quelli della spensieratezza e della gioia.
Un obbligo degli ebrei era quello di cucirsi la stella di David e la scritta “Jude” per rafforzare l’idea di diversità che avevano i nazisti nei loro confronti.
Inizia la tragedia: la mamma di Lala viene presa prigioniera e poi uccisa.
Nel 1942 i nazisti entrano in casa della famiglia e portano via la madre in un carro bastonandola con altri anziani. Lala (che in questo momento ha 16 anni) è molto legata a sua madre e quindi le si attacca al vestito. Una volta sul carro, però, un signore la butta giù, consapevole che il carro era diretto a Chelmno.
Nonostante le difficoltà comportate dall’allontanamento della madre, la famiglia Lubelska riesce a “tirare avanti” e, come dice Lala, a farsi la doccia ogni giorno.
Nel 1944, Lala viene deportata insieme a suo padre, le sue 3 sorelle e sua nipote. All’interno del vagone del treno, pur essendo in una situazione terribile e disastrosa, Lala riesce a dare il suo primo bacio ad un ragazzo che conosceva già da tempo. Questo ci fa capire come, nonostante tutto, nonostante tutto quello che stiamo passando, non si debba mai e poi mai perdere la voglia di vivere.
Dopo 5 giorni di viaggio lei e la sua famiglia arrivano ad Auschwitz: cominciano le separazioni. Suo padre che sa che non rivedrà mai più le sue bambine le guarda, sorride loro e dice:”Voi vi salverete”. Dopo aver salutato il padre, sua sorella Dora si vede sottrarre sua figlia che, avendo 9 anni, non era considerata “sfruttabile” al lavoro; Dora decide quindi di andare verso la morte con sua figlia. Lala e le 2 gemelle, invece, vengono portate insieme ad altre donne nel campo di concentramento.
Un’ altra divisione era quella tra abili e non abili: le persone con disabilità non venivano considerate utili dai tedeschi e quindi condannati alle camere a gas.
Quando Lala e le sue 2 sorelle gemelle arrivarono ad Auschwitz furono mandate dal macellaio di Auschwitz, Mengele, che però le respinge perché le 2 gemelle non somigliavano a due gemelle ebree per la carnagione più chiara, per gli occhi azzurri e per il naso che non sembrava da persona ebrea.
Il macellaio di Auschwitz è “famoso” per gli esperimenti che faceva sui gemelli.
Per Lala era molto importante farsi una doccia con dell'acqua vera e non con qualche sostanza che uccideva gli ebrei nei campi di sterminio. Pensava al futuro fuori da Auschwitz e l'unica cosa che desiderava era uscire da lì viva per continuare la sua vita anche se non sarebbe stato facile dopo tutto quello che aveva passato lì dentro. Un giorno lei e le sue compagne, dopo il lavoro, vennero dirottate verso quelle che sembravano docce. Lala sapeva che quelle docce potevano essere delle camere a gas, ma in cuor suo sapeva che era troppo giovane per morire.
Ad Auschwitz, i prigionieri venivano torturati anche attraverso il cibo. Infatti, veniva data loro una zuppa molto salata, senza però fornire loro acqua da bere. Per questo, molte persone impazzivano dalla sete e, pur di dissetarsi, cominciavano a bere l’acqua dalle pozzanghere. I nazisti, inoltre, si divertivano a sparare ai prigionieri che tentavano di bere da esse. Questo ci fa capire come, all’interno dei campi di concentramento, qualsiasi scusa era buona per torturare e umiliare i prigionieri.
Alle ragazze, inoltre, all’interno della zuppa, veniva aggiunto un medicinale che annullava il ciclo mestruale, altrimenti non sarebbero state utili al duro lavoro nel campo. Questo azzerava completamente l’identità della donna, privandola di una delle cose più intime di se stessa. A causa di questo farmaco, molte donne rimasero purtroppo sterili, non potendo più così avere figli. Questo fu probabilmente uno dei peggiori modi per eliminare l’identità di una donna, che dopo essere stata privata del suo nome, veniva privata anche della sua natura.
Lala, fortunatamente, rimase solo 1 mese all’interno del campo di concentramento di Auschwitz. Insieme alle sue sorelle, venne portata in un campo di lavoro, dove costruivano aerei militari. È fu proprio qui che Lala conoscerà il suo futuro marito Giancarlo. Fu un colpo di fulmine. Giancarlo, nonostante Lala fosse molto magra, calva, in pessime condizioni e con addosso stracci, fu subito attratto dai suoi stupendi occhi azzurri. Il 10 gennaio 1945, scattò il bacio. Gli amici l rinchiusero dentro un armadio, dove l’amore riuscì a sbocciare nonostante le macerie. Non sapendo se si sarebbero più incontrati, Giancarlo diede a Lala una sua fotografia, con scritto l’indirizzo di casa. Lala, per non farsi portar via la fotografia, decise di nasconderla in bocca, dove nessuno l’avrebbe trovata. Era l’inverno del 1945, la guerra stava finendo. I tedeschi sapevano di star perdendo e quindi decisero di portare i prigionieri nei campi di lavoro a Mauthausen per tentare di eliminare tutte le prove dell’uccisione degli ebrei, anche perché non volevano far sapere assolutamente al mondo le atrocità che facevano alle persone nei campi di concentramento.
L’ultima parte dell’incontro è stata destinata all’ascolto delle domande poste da alunni e insegnanti. Tra riflessioni e curiosità, alcuni dei temi emersi sono stati: il pudore della memoria; che i negazionisti sono un male da estirpare. Parlarne con i ragazzi, dice Rachele, è un arricchimento per chi racconta
La nonna di Rachele ha lasciato un libro intitolato Il viaggio verso il nulla. Voi vi salverete. Il nonno Giancarlo, invece, è stato insignito del titolo di Giusto tra le Nazioni. Gli sono stati dedicati 3 alberi nel giardino dei giusti in Israele.
“Quel che è accaduto non può essere cancellato, ma si può impedire che accada di nuovo”. Le parole di Anne Frank racchiudono perfettamente l’importanza del ricordare la Giornata della Memoria.
Queste atrocità non devono succedere più. Tutti abbiamo il diritto di essere noi stessi, senza che nessuno ci tolga la dignità, la razza o la religione. Queste memorie rimangono per sempre… non si possono cancellare, rimangono strette al cuore, abbracciate alla mente di ognuno di noi, infatti come dice Primo Levi:” se comprendere è impossibile, conoscere è necessario: “perché ciò che è accaduto può ritornare e le coscienze possono essere oscurate.
Chiara Babetto, Alessio Zanovello, Maicol Formentin, Desireè Pozzato, Anita Paparella, Alberto Mesini, Lucia Tognin, Sofia Destro, Sara Masiero